La farina è il principale attore nei lieviti.
Facciamo un po’ di chiarezza sui termini e i nomi coinvolti.

Con il termine “farina” si intende  generalmente il frutto della macinazione  di molti prodotti.

Nel senso comune  “farina” è il prodotto ottenuto dalla macinazione dei cereali e in particolare modo del grano (frumento) e ancor più in particolar modo del grano tenero.

Esistono quindi farine da cereali in senso stretto, ovvero da piante “monocotiledoni” della famiglia delle “Graminacee o Poacee”:

  • farina di grano tenero
  • farina di grano duro
  • farina di grano del Faraone (Kamut è un nome commerciale protetto)
  • farina di farro
  • farina di mais
  • farina di segale
  • farina di miglio
  • ecc.

Esistono poi farine da cereali in senso lato, ovvero anche da piante dicotiledoni (non Graminacee e dette quindi pseudo-cereali):

  • farina di amaranto
  • farina di grano saraceno
  • farina di quinoa
  • farina di riso
  • ecc.

Esistono quindi farine da leguminose, da conoscere in quanto alcune addizionabili in certe lavorazioni:

  • farina di ceci
  • farina di fagioli
  • farina di fave
  • farina di piselli
  • farina di soia

Esistono quindi farine da altri frutti della terra, meglio dette fecole, da conoscere in quanto altrettando addizionabili in certe lavorazioni:

  • farina di castagne
  • farina di patate
  • farina di manioca
  • farina di tuberi vari

La granulometria della farina

Soprattutto per le farine di cereali ha molta importanza la grana ottenuta dopo la macinazione.

Nel caso del grano tenero avremo una grana molto fine e sottile.

Per il grano duro, distinguendosi per la sua grana maggiore una volta macinato, si usa il termine “semola” e non farina. La semola si distingue visivamente dalla farina di grano tenero sia per la granulometria maggiore che per il suo caratteristico colore giallo ambrato.
Per ottenere una granulometria minore (anche se comunque maggiore del grano tenero), la semola viene ulteriormente macinata, dando origine alla cosiddetta “semola rimacinata” particolarmente adatta al pane.
Nel caso di grano duro macinato particolarmente fine, alcuni usano impropriamente il termine di “farina di grano duro“.

 

La forza della farina

La proprietà più importante della farina è la sua forza, cioè la capacità di resistere nell’arco del tempo alla lavorazione.
Di “forza” della farina si parla soprattutto nel caso della farina di grano tenero.
Sostanzialmente solo nel  grano esistono due proteine: gliadina e glutenina; a contatto con l’acqua formano un complesso proteico detto glutine che costituisce la struttura portante dell’impasto.
Si tratta di una specie di reticolo che rende l’impasto compatto, elastico e capace di trattenere l’acqua e i gas della lievitazione, formando  le bolle  della struttura alveolata di pane ed altri prodotti lievitati.
In base alla quantità, ma anche alla qualità, del glutine l’impasto avrà più o meno resistenza (P) ed elasticità (L) e consentirà quindi anche di allungare i tempi di lievitazine. La lettera W indicata sulle confezioni delle farine professionali indica proprio questa caratteristica.

Per essere pratici ecco una possibile scala di valori con la relazione alla capacità delle farine di assorbire acqua:

  • valore fino a 170W per farine “deboli” che assorbono acqua non più del 50%; per esempio su 1 kg. di farina potremo utilizzare massimo 500 gr. di acqua circa; tali farine si possono ad esempio utilizzare per biscotti e paste frolli;
  • valore oltre 170W e fino a 260W per farine “medie” che assorbono acqua per circa il 60%; per esempio su 1 kg. di farina potremo utilizzare massimo 550-650 gr. di acqua circa; tali farine si possono ad esempio utilizzare per panini bianchi e pizza;
  • valore oltre 250W e fino a 350W per farine “forti” che assorbono acqua per circa il 70%; per esempio su 1 kg. di farina potremo utilizzare massimo 650-750 gr. di acqua circa; tali farine si possono ad esempio utilizzare per prodotti ad elevata lievitazione come brioche, panettone, ecc.;
  • valore oltre 450W per farine “speciali” ad alto contenuto proteico, come la farina Manitoba (che prende il sujo nome dalla regione canadese dove tqale tipo di frumento viene coltivato);  assorbono acqua per oltre il 75%; tale farina viene utilizzata spesso per “tagliare” ovvero integrare farine più deboli.

 

La raffinazione della farina di grano tenero

Nel caso della farina di grano tenero, a secondo dell’utilizzo di un setacciamento più o meno fine (il termine tecnico è abburattamento), e quindi della presenza in minore o maggiore quantità delle parti più esterne del chicco di grano, si ha un’ulteriore classificazione che vi sarà molto familiare, stabilita nel nostro Paese per legge:

  • farina tipo “00”: grado di abburattamento del 50%;
  • farina tipo “0”: grado di abburattamento del 72%;
  • farina tipo “1”: grado di abburattamento del 80%;
  • farina tipo “2”: grado di abburattamento del 85%;
  • farina tipo “integrale”: grado di abburattamento del 100%, ovvero con l’intero contenuto del chicco macinato.

In sostanza la farina 00 contiene solo la parte del chicco di grano più ricca di amidi (zuccheri che favoriscono il nutrimento di lattobacilli e lieviti) e di proteine per la formazione del glutine; vedete la sezione relativa alla pasta madre per meglio comprendere come Lattobacilli e Saccaromiceti concorrano alla lievitazione.
D’altro canto la farina 00 è povera di vitamine, altre proteine, fibre; questi elementi invece aumentano nelle farine 0-1-2 e al massimo grado nell’integrale. Man mano che diminuisce la raffinazione, quindi, la maggiore quantità di questi elementi prende il posto di amidi e proteine glutiniche, arricchendo quindi le preparazioni dal punto di vista nutrizionale rendendole più difficoltose (al massimo grado nell’integrale) nella lievitazione.

Ecco dunque che l’integrazione di farine raffinate e integrali nello stesso impasto ha la funzione (con tutte le possibili combinazioni di tipo di farine e quantità per ciascuna) di garantire una buona lievitazione e al tempo stesso la qualità nutrizionale e organolettica delle preparazioni.

Considerando quanto detto a proposito delle farine più raffinate (00 o 0) relativamente al loro alto apporto di amidi e glutine, possiamo considerare la relazione con la loro “forza” (il valore di W) che sarà certamente maggiore, ad esempio, della farina integrale. Esiste quindi una relazione tra raffinazione e “forza” del grano tenero.

 

Utilizzo di altre farine oltre quella di grano tenero

Le farine di grano duro, farro, segale, ecc. a differenza di quella di grano tenero hanno uno scarso contenuto di glutine e amidi. In tal modo avremo difficoltà ad avere nutrienti per batteri e lieviti e ancora glutine per sostenere la lievitazione.

Nel caso di farina di farro, ad esempio, se realizzassimo un impasto con il solo uso di questa farina, avremmo impasti poco lievitati, molto compatti e pesanti.
Ecco che l’unione con farine di grano tenero come la 0 o ancor più la 0 Manitoba può garantire una maggiore capacità di lievitazione. Ad esempio potremmo considerare un impasto con il 50% di farina 0, 20% 0 Manitoba e 30% farro.
Idem con altre farine come quella di segale.

Nel caso del grano duro il contenuto di amidi e glutine sarà maggiore del farro e quindi l’esigenza di integrazione con il grano tenero sarà minore.

 

Altri aspetti nella valutazione della qualità delle farine

Esistono altri aspetti tecnici nella valutazione di una farina, come umidità, ceneri, ecc.

Un cenno però è d’obbligo sulla qualità di una farina al di là dei valori tecnici.

La preferenza va a quei prodotti biologici garantiti che offrono certamente un plus a discapito del prezzo.

Così anche la macinatura a pietra, la qualità del grano all’origine, la capacità tecnica del molino sono tutti elementi che fanno l’enorme differenza tra una farina mediocre e una ottima, con ripercussioni macroscopiche sui nostri impasti.